Il curriculum, si sa, da solo non basta per assicurarsi un posto di lavoro, è invece un valido strumento per fornire un primo accenno sulle proprie competenze, studi, inclinazioni, aspirazioni a fare parte di una certa azienda. Si può dunque dire che l’obiettivo è innanzitutto quello di solleticare la curiosità del selezionatore, di distinguersi nel mare di curriculum che fanno concorrenza, nella speranza di venire poi convocati per un colloquio.

Quando tutto questo accade, ecco quali regole è necessario tenere a mente per evitare brutte figure, non solo al momento del colloquio ma anche nel processo comunicativo più generale che si sperimenta in azienda. Tanto per cominciare: come parlare. Ritmo e tono della voce, se variati nel tempo e nell’intensità, tengono alto l’interesse dell’interlocutore. Attenzione quindi a non fare assumere alla conversazione il carattere lungo e noioso della litania, con discorsi monotoni che hanno come risultato solo quello di spazientire chi, già a fatica, sta cercando di ascoltare.

L’atteggiamento con il quale si affronta un colloquio, una riunione, un pranzo di lavoro deve essere il più possibile rilassato, positivo.

Chiarezza e brevità nell’esposizione sono indispensabili, mentre la prolissità può trascinare in un labirinto di parole che rischia di far perdere del tutto il filo della discussione. Sì, invece, a pause strategiche che rivelano una maggi0re sicurezza e padronanza di sé.

Risulta essere importante inoltre mettere da parte il proprio ego, il desiderio che ciascuno ha di emergere a tutti i costi. Il pericolo, infatti, è che presi da un’eccessiva ansia da prestazione si finisca col rovesciare sul tavolo tutte le carte a disposizione: esperienze fatte, studi all’università, master, viaggi all’estero, ecc., che magari non sono state richieste affatto in sede di colloquio (e qui ovviamente ci si riferisce al momento della selezione). Il risultato è di uscire completamente fuori dal seminato. In questi casi è possibile che il candidato abbia snocciolato i suoi tanti meriti e titoli assumendo un fastidiosissimo atteggiamento da professorino, come quando si fa sfoggio di inutili tecnicismi, inglesismi o paroloni vari.

Se un consiglio si può dare, allora, è che almeno si sia certi di avere una buona pronuncia dell’inglese, se proprio non si può fare a meno di inserire nel discorso qualche termine in lingua straniera. Lo stesso per le parole italiane dal suono altisonante, di cui si deve sempre conoscere l’esatto significato. La gaffe, infatti, è sempre in agguato.