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L’orario nel quale espletare la mansione è elemento fondamentale del contratto di lavoro in quanto permette di stabilire sia la durata della prestazione lavorativa caratterizzando particolari tipologie negoziali (si pensi al part time), sia la retribuzione dovuta che, secondo la Costituzione, deve essere proporzionale alla qualità e alla quantità del lavoro svolto.

Dal punto di vista legislativo l’intera disciplina è stata sottoposta ad una sistematica revisione con il decreto legislativo n. 66/03 che ha fornito per la prima volta una definizione precisa di orario di lavoro intendendo per esso “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”, fissandone il limite massimo in 40 ore settimanali.

L’orario di lavoro, predisposto dal datore nell’osservanza dei criteri di organizzazione stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva, deve essere specificato nel regolamento aziendale e deve essere comunicato al lavoratore mediante il contratto o la lettera di assunzione. Salvo diversa disposizione dei contratti collettivi, non valgono determinate attività successive o propedeutiche all’esecuzione della prestazione stessa (si pensi al tempo per recarsi al lavoro o a quello più in generale necessario per entrare in azienda) ai fini del superamento dei limiti di durata della prestazione.

Orario giornaliero e pause intermedie
In particolare, ferma restando la durata normale dell’orario settimanale (40 ore derogabili dalla contrattazione collettiva che può stabilire un tempo minore), il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. Il riposo giornaliero deve essere fruito in modo consecutivo fatte salve le attività caratterizzate da periodi di lavoro frazionati durante la giornata.

Qualora l’orario di lavoro giornaliero ecceda le 6 ore il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stabilite dai contratti collettivi, ai fini del recupero delle energie psico-fisiche e della eventuale consumazione del pasto anche al fine di attenuare il lavoro monotono e ripetitivo. In caso di mancata regolamentazione collettiva al lavoratore deve essere concessa una pausa, anche sul posto di lavoro, tra l’inizio e la fine di ogni periodo giornaliero di lavoro, di durata non inferiore a 10 minuti e la cui collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del processo lavorativo.

Il riposo settimanale
Il dipendente ha diritto ogni 7 giorni a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica (riposo settimanale), da cumulare con le ore di riposo giornaliero. Il diritto al riposo settimanale è irrinunciabile secondo quanto stabilito dall’art. 36, 3° comma della Costituzione: una eventuale pattuizione contraria di un contratto collettivo o di un contratto individuale sarebbe radicalmente nulla. Lo stesso d. lgs. 66/03 prevede, tuttavia, un ventaglio di deroghe sia alla regola della coincidenza con la domenica sia a quella del riposo ogni 7 giorni. In tutti i casi in cui un lecitamente sia richiesto di espletare attività lavorativa eccezionalmente durante la domenica, al lavoratore spetterà, oltre alla paga normale per la giornata lavorativa, una maggiorazione e una giornata di riposo compensativo da godere in un giorno normalmente lavorativo.

Soluzione al quesito
Venendo al caso prospettato, la Corte di Cassazione con sentenza n. 18701/2007 ha risposto positivamente al quesito riconoscendo al dipendente di una banca il diritto a percepire una maggiorazione economica del compenso stabilita in via equitativa, per aver svolto turni di lavoro anche oltre il 6° giorno di lavoro consecutivo (nello specifico il dipendente aveva lavorato per circa 20 domeniche all’anno non percependo né uno specifico trattamento retributivo né un compenso indennitario). La legittimità dello spostamento del riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica, anche con una cadenza variabile per cui detto riposo intervenga oltre il 6° giorno lavorativo, non esclude che – scrivono i giudici – al lavoratore sia dovuto, in relazione all’attività lavorativa del 7° giorno consecutivo e nonostante il godimento di un riposo compensativo oltre tale giorno, un compenso determinabile anche equitativamente a titolo non di risarcimento ma di indennizzo per la privazione pur legittima della pausa destinata al recupero delle energie psicofisiche.

Il diritto a tale prestazione indennitaria non è escluso dalla circostanza che la disciplina collettiva preveda un particolare trattamento retributivo per la prestazione lavorativa domenicale, salvo che tale trattamento risulti destinato a compensare, oltre la penosità del lavoro festivo, anche l’usura dell’attività lavorativa prestata il 7° giorno consecutivo. Ne consegue che nella determinazione dell’indennizzo in via equitativa deve farsi riferimento, più che alla retribuzione in senso proprio quale prevista dall’art. 36 Cost., alla specificità dell’indennizzo di un peculiare sacrificio (v. Cass. n. 5207 del 2003).